BEATO FRANCESCO FAÀ DI BRUNO

PATRONO DEL CORPO DEGLI INGEGNERI DELL’ESERCITO

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25 SETTEMBRE

Beato Francesco Faà di Bruno
Beato Francesco Faà di Bruno

 

Con la costituzione del Corpo Tecnico dell'Esercito (ridenominato con la Legge n. 490/97 in CORPO DEGLI INGEGNERI DELL’ESERCITO), originato dalla unificazione dei preesistenti Servizi Tecnici, permaneva viva e sentita l'esigenza di eleggere un Santo Protettore, un Patrono intercessore il quale, oltre a recepire le istanze e le aspettative dei suoi devoti, costituisse ausilio di Fede e modello ideale di vita, rivelando nelle opere e nel pensiero quei lineamenti nei quali, più spiccatamente, potessero riconoscersi gli Ufficiali del Corpo degli Ingegneri.

Per altro verso, raccogliere l'eredità del passato e dover operare delle scelte a favore di uno dei Santi Protettori già onorati nei rispettivi Servizi Tecnici, salvaguardando i caratteri di equità e di unanime consenso, si sarebbe rivelata impresa ardua e non scevra da incomprensioni.

Al fine di aderire a tali intendimenti, veniva condotta una meticolosa ricerca agiografica, al termine della quale emergeva nettamente la figura del

Beato FRANCESCO FAÀ DI BRUNO

(ALESSANDRIA 29.03.1828 - TORINO 27.03.1888)

beatificato a Roma nel 1° centenario della morte, il 25 settembre 1988 da Sua Santità Giovanni Paolo II.

Il Beato FRANCESCO FAA’ DI BRUNO, indipendentemente dalle sue straordinarie qualità di benefattore e di sacerdote che gli hanno meritato il giusto riconoscimento ufficiale della Chiesa ed il conseguente onore degli altari, presenta, nella sua vita di UFFICIALE, SCIENZIATO, DOCENTE ed INVENTORE alcune caratteristiche del tutto peculiari che ne fanno il modello ideale per tutto il Corpo degli Ingegneri dell'Esercito e la sua guida e protettore.

UFFICIALE.

Nel 1840 è ammesso alla Regia Accademia Militare di Torino. Nel 1846, terminato i Corsi, è nominato    luogotenente nel Corpo di Stato Maggiore Generale. Inizia il biennio di specializzazione (in topografia) e si perfeziona nelle lingue straniere. Nel 1848 partecipa alla prima guerra d’indipendenza nella "Brigata Guardie" comandata dallo stesso principe ereditario, Vittorio Emanuele, di cui è aiutante di campo. Disegna la "Gran Carta del Mincio", che si rivelerà decisiva nella grande battaglia di Solferino e di San Martino. Nel 1849 è promosso Capitano di Stato Maggiore . E' decorato con la Menzione Onorevole. E' inviato a Parigi dal Ministero della Guerra per frequentare i corsi di scienze naturali alla Sorbona. Nel 1851, ottenuto il diploma di Licencié-en-Sciences, rientra a Torino. Nel 1852 fa parte di una missione militare che, in mesi di lavoro sugli Appennini e sulla costa tirrenica, disegna una carta dei confini marini del Regno di Sardegna, da Nizza a La Spezia. Nel marzo del 1853, chiede la dispensa dal servizio militare .

SCIENZIATO.

Il Beato volle il campanile della Chiesa del Suffragio come segno escatologico, per ricordare ai torinesi le trombe del giudizio universale; ma anche come prova della capacità di un credente di utilizzare il progresso tecnologico; infine, per motivi sociali, per fornire l'ora ad un quartiere di poveri. Ripetuti sopralluoghi, scrupolosi controlli compiuti, negli anni immediatamente successivi alla costruzione, da commissioni tecniche del Municipio, non hanno individuato il perché potesse durare a lungo quello che sembrava solo un instabile gioco di equilibrio.

DOCENTE.

Nel maggio del 1854 ritorna a sue spese alla Sorbona di Parigi per ottenervi la laurea in matematica e astronomia. Partecipa allo sforzo dei cattolici piemontesi di familiarizzare gli indotti con il sistema metrico decimale e con il nuovo regime dei pesi e delle misure introdotto dal governo nel 1850, ma che costituì per decenni un rebus per il popolo abituato da sempre agli antichi sistemi. Nel 1857 inizia all'Università di Torino corsi "liberi", non retribuiti, di alta analisi matematica e di astronomia. Nel 1861, nella Facoltà di scienze fisiche e matematiche dell'Università, è nominato "Dottore aggregato", inviando memoriali al Ministero della Pubblica Istruzione per sollecitare l'istituzione di cattedre e centri che colmino divario scientifico tra l'Italia e i paesi stranieri. Nel 1871 è nominato professore, ma solo incaricato, di analisi matematica e di geometria analitica.

INVENTORE.

Nel 1856, stimolato anche dalla infermità agli occhi della sorella Maria Luigia, inventa e fabbrica uno "scrittoio per ciechi", che sarà elogiato da molte accademie, premiato a numerose esposizioni e che darà grande aiuto a numerosi infelici, in Europa e in America. Nel 1868 inizia la costruzione della Chiesa di Nostra Signora del Suffragio, centro di suffragi specialmente per i Caduti di tutte le guerre; ne progettò l'ardito campanile (75 metri), un miracolo di statica. Nel 1878 inventa e brevetta uno "svegliarino elettrico", ponendo ancora una volta la scienza al servizio della carità.

 

NOTE BIOGRAFICHE

Sul sagrato di San Pietro, Giovanni Paolo II aveva proclamato Francesco Faà di Bruno “Benedetto tra i Beati della Chiesa”: era il 25 settembre 1988. La motivazione: “…seppe conciliare la dedizione alla scienza con la fervida testimonianza di credente. Impegnato in cattedra e intento ad alleviare le sofferenze dei poveri - disse il Pontefice - ebbe come stella polare il grande amore per Dio.

Era ben nota al Pontefice l’eclettica personalità di Francesco Faà di Bruno, che, in ogni aspetto eccellente, gli aveva consentito di spaziare nei vari campi, dalle scienze matematiche e fisiche, all’astronomia, all’architettura, alla creatività ingegneristica, alla musica. E sapeva anche, il Pontefice, che ogni campo aveva improntato a quel rigore di comportamento e di ricerca, cui l’aveva informato la pratica militare.

Uomo di scienza, dunque, e militare, due aspetti che motivarono, nel 1996, la sua elezione a Patrono del Corpo degli Ingegneri dell’Esercito, istituito, lo ricordiamo nel lontano 1754. La sua formazione, infatti, avvenne proprio nell’allora Regia Accademia Militare di Torino, alla quale fu ammesso il 15 ottobre 1840: aveva quindici anni. E’ interessante ricordare a questo proposito l’ordinamento degli studi vigente allora all’Accademia e alla Scuola di Applicazione. Si distinguevano le Armi comuni e le Armi dotte. Complessivamente erano previsti cinque anni per le Armi comuni: Fanteria e Cavalleria; sei anni per le Armi dotte: Artiglieria, Genio e Stato Maggiore. Due anni erano riservati all’osservazione, cui si potevano aggiungere altri quattro anni per i meritevoli. La Scuola di Applicazione prevedeva due anni. Le discipline: si insegnavano calcolo, geometria, chimica, topografia, meccanica razionale, chimica, disegno architettonico, religione. Le materia previste nella Scuola di Applicazione erano: algebra, trigonometria, calcolo differenziale e integrale, geometria descrittiva, meccanica razionale e meccanica applicata, tecnica dell’elasticità, teoria del minimo lavoro oltre a topografia e geodesia.

Francesco Faà di Bruno eccelse in ogni disciplina e fu subito ammesso alle Armi dotte. Era così iniziata la sua carriera militare: cadetto, sottotenente, luogotenente, fino a Capitano del Corpo di Stato Maggiore. In servizio attivo partecipò alla I Guerra di Indipendenza (28 Marzo 1848) con il grado di aiutante di campo del Principe Vittorio Emanuele. Fu insignito, nell’occasione, della Menzione d’Onore per “comportamento eroico in guerra”. Alla II Guerra d’Indipendenza partecipò si può dire indirettamente. In qualche modo determinanti, nelle battaglie di San Martino e Solferino, furono la sua “Gran Carta del Mincio” e il “Piano di Peschiera”. Esperto di topografia, stilò anche successivamente la “Carta dei confini marini del Regno di Sardegna da Nizza a La Spezia”.

Ufficiale al Campo e alla Guerra, di lui si disse: “sul campo di battaglia si comportò sempre in modo onorevole, non ravvisando mai alcuna contraddizione tra la condizione di soldato e la convinzione religiosa. Anzi, diceva, era dovere da cristiano affrontare con serenità e coscienza le difficoltà e i pericoli che occorrono alla professione militare.” Erano gli anni esaltanti del Risorgimento, della Guerra di Crimea, del Congresso di Parigi, della III Guerra di Indipendenza, si andava consolidando il processo di unificazione dell’Italia, ma furono anche anni difficili, soprattutto per Faà di Bruno, che, in una atmosfera di anticlericalismo politico, si trovò a vivere un conflitto tra la tradizionale fedeltà monarchica (anche viste le sue origini nobiliari) e la dovuta fedeltà al Papa. Erano inoltre anni di nuovi fermenti nel campo delle scienze. Gli studiosi risorgimentali avvertivano l’esigenza di uno sviluppo della ricerca, di una partecipazione a lavori internazionali: l’It alia avrebbe dovuto imporsi all’attenzione europea anche in campo scientifico assistendo e partecipando a lavori di sperimentazione già intensi presso realtà politiche consolidate. Ne era convinto Faà di Bruno, che in una prolusione del 1857 presso l’Università di Torino aveva sostenuto: “Lo sviluppo della scienza è compito base della nuova entità nazionale, che si va formando. Riportare l’Italia tra i Paesi a maggior sviluppo scientifico e quindi a maggior progresso industriale e civile è il compito primario della nuova generazione di scienziati.” E aggiungeva: “Egli è tempo che il Piemonte e l’Italia s’accingano a percorrere le nostre regioni a fin di cogliere, anche noi, alcuni dei tanti frutti onde esse vanno orgogliose e feconde.

Ottimo titolo ad una sua partecipazione alla cultura scientifica a livello internazionale erano stati sicuramente gli studi compiuti in due lunghi soggiorni a Parigi, studente alla Sorbonne, al Collège de France, all’Ecole Politecnique, dove aveva approfondito le discipline: algebra superiore, geometria superiore, geodesia e, al Politecnique, la teoria delle funzioni ellittiche e la teoria dei numeri. A coronamento dei corsi aveva così ottenuto la Licenza in Scienze Matematiche (1851) e qualche anno dopo era stato insignito della più prestigiosa Laurea in Scienze Matematiche, “Docteur en Sciences Mathématiques”, con due tesi in matematica e astronomia. La sua attenzione alla cultura scientifica internazionale si arricchì, a Londra, con la visita alla Grande Esposizione dell’Industria di tutte le Nazioni e, a Parigi, all’Esposizione Universale Parigina (1855).

E con la passione per la scienza venne a svolgersi la sua carriera di docente in un climax progressivo nell’insegnamento universitario: docente prima in corsi liberi, poi professore aggregato, professore straordinario incaricato al Politecnico di “Alta analisi matematica”.

Fu docente presso l’Accademia Militare di Topografia e Trigonometria. Alla Scuola di Applicazione fu chiamato all’insegnamento della geodesia. Importanti i suoi studi matematici, quando la matematica, più che a preparare matematici, era intesa a formare ingegneri. Tra tutti i suoi studi e i numerosi trattati di attuale interesse, la formula della “derivata n-esima di una funzione composta”, formula ancora oggi usata dai principali software matematici, presente nel “Trattato generale dell’Eliminazione”. E ancora la formulazione delle “Leggi astratte a partire dall’Osservanza della Realtà”, “Cenni sopra il Calcolo degli Errori”, la “Teoria delle Formule Binarie”, il “Trattato sulle Funzioni Ellittiche”, gli “Studi di Fisica Matematica e Chimica”.

Studioso di Meteorologia, egli la interpretò non come scienza assoluta, ma come mezzo di indagine della natura, soprattutto come strumento di previsione di fenomeni atmosferici, di catastrofi. Attento indagatore dell’Osservatorio Astronomico di Parigi, fu ammesso alla Commissione per la realizzazione dell’Osservatorio magnetico-meteorologico di Torino, visibile in qualche fotografia d’epoca sopra Palazzo Madama. Tra le sue realizzazioni: un gabinetto di fisica con strumenti, preparati chimici, collezioni di apparecchi ingegnosi anche di altri scienziati.

Francesco Faà di Bruno fu anche geniale inventore. Le sue invenzioni, sicuramente di minor rilievo rispetto alla ben più impegnativa produzione scientifica, hanno lasciato un segno nella storia della cultura e della carità del secondo Ottocento e dimostrano gli orientamenti della più aggiornata cultura europea. Si trattava di tecniche offerte dalla introduzione delle nuove forme di energia, in particolare dell’elettricità. Sono invenzioni semplici, si dice, “non cose straordinarie che abbiano meravigliato il mondo scientifico, ma attestano il genio versatile e la partecipazione a un filantropismo, che era divenuto fenomeno europeo”. Diceva Faà di Bruno: “Io non voglio fare delle invenzioni, queste le lascio ai grandi geni (Abel, Jacob, Hermitte), sebbene qualche spiga l’abbia raccolta anch’io”. E aggiungeva: “voglio volgarizzare la scienza, come consigliava Bertrand, e non lasciarla confinata nelle raccolte inaccessibili (in ogni senso) delle Accademie”. Tra le sue invenzioni: lo scrittoio per ciechi, per il quale, nell’Esposizione Internazionale dei Prodotti per l’Industria a Torino, ottenne la Medaglia d’Argento; lo svegliarino elettrico; il barometro a mercurio; il fasiscoppio; l’ellissografo; l’apparecchio per dimostrazione del movimento dei nodi equinoziali e del perigeo della luna.

Si occupò di architettura e l’esito più eclatante fu la costruzione del Santuario di Nostra Signora del Suffragio, sito in via San Donato a Torino, accanto al quale svetta l’ardito campanile di Santa Zita, con le sue trentadue colonnine in ghisa, che lasciano libero spazio al suono delle campane. Un miracolo di architettura e, si disse, una sfida contro coloro che ne temevano la scarsa resistenza. Non fu così. E’ ancora nella memoria di molti la sua incolumità nel tornado del 1953, quando crollò la guglia della Mole Antonelliana. La costruzione dell’edificio, allora il secondo in altezza, preceduto dalla Mole Antonelliana, era stata dettata dalla volontà di contrapporre una costruzione cattolica a un monumento, concepito inizialmente come sinagoga per la comunità ebraica. Erano stati, dunque, validi ed efficaci i suoi studi di calcolo strutturale e tecnica di costruzione. Sempre presente, anche in queste realizzazioni, il suo legame con la vita militare: il Santuario doveva essere luogo di “preghiere e di espiazione per i militari defunti in tutte le guerre”, tra essi il fratello Emilio Faà di Bruno, ammiraglio della “Re d’Italia”, nave ammiraglia della flotta italiana. Speronata da navi austriache nella Battaglia di Lissa, nel 1866, la nave si inabissò: l’Ammiraglio rimase al suo posto di comando. A lui Francesco Faà di Bruno volle dedicare una lapide nello stesso Santuario, dove furono riposte le spoglie del Beato.

Dalla cella campanaria si propagano ancora i rintocchi delle campane, una delle quali costruita con la fusione del bronzo dei cannoni deteriorati durante la guerra, concessi a Faà di Bruno dal Ministero della Guerra.

Da ascriversi nella realtà del Risorgimento e tuttora valido il messaggio di Francesco Faà di Bruno, che voleva, alla base di una formazione sociale e umana dei giovani, il binomio inscindibile Dio e Patria.

 

Note biografiche da:

“Francesco Faà di Bruno – Ricerca scientifica, insegnamento, divulgazione” a cura di Livia Giacardi, edito dall’Università di Torino, 2004

“Faà di Bruno – Scienza, fede e società” di Pier Luigi Bassignana, Edizioni del Capricorno, 2008

“Il Certosino Laico, Francesco Faà di Bruno” di Suor Anna Maira Bairati.